Sono i dati del ministero della Salute a dirlo: non c'è area italiana più inquinata. Parlare non basta più e nemmeno fermare il traffico. È ora di agire davvero
Non c'è bisogno di scomodare i sessantamila decessi in più del 2015 e nemmeno i blocchi del traffico decisi da Milano e Roma per i livelli sopra la media delle polveri sottili. Il problema dell'inquinamento atmosferico in Italia - e soprattutto in Pianura Padana - è lì, un elefante seduto in salotto da almeno vent'anni. Siamo noi che novantanove giorni su cento facciamo finta di non vederlo.
Parliamo di un’area - non da ieri - tra le più industrializzate, urbanizzate e infrastrutturate d’Europa, caratterizzata da un basso tasso di ventilazione e da fenomeni di inversione termica che rendono più difficile la dispersione degli agenti inquinanti. O, per dirla con le parole, i numeri e i grafici del Rapporto sulla Qualità dell’aria dell’Agenzia Europea sull’Ambiente, uno dei luoghi più inquinati e saturi di polveri sottili (Pm10, Pm 2,5), diossido di azoto, diossido di zolfo, monossido di carbonio, benzopirene. Tutte sostanze che la Iarc (International Agency for Research on Cancer), agenzia che per conto dell’Oms analizza e classifica agenti e sostanze cancerogene, ha inserito nella “lista nera” dei fattori che causano il cancro (3% di tutti i tumori, 5% di tutti i tumori polmonari).
Non bastasse, ci sono i grafici e i dati del ministero della Salute, presentati lo scorso 4 giugno, nel suo rapporto sull'Impatto dell’Inquinamento atmosferico sull’Ambiente e sulla Salute in Italia. Grafici e mappe impressionanti, nella loro chiarezza, che non merita alcun commento.
Concentrazione di particolato fine (Pm 2,5) nel territorio italiano (2005 e previsione 2020)
Concentrazione di biossido di azoto (No2) nel territorio italiano (2005 e previsione 2020)
Potremmo continuare a far finta di niente, certo. Tuttavia, come scrive bene Anthony Giddens nel suo ultimo volume “La politica del riscaldamento globale”, quello ambientale «è un problema diverso dagli altri (…) perché riguarda principalmente il futuro. (…) Il paradosso è che, non essendo i pericoli (…) tangibili, immediati e visibili nel corso della vita quotidiana, molti se ne stanno con le mani in mano e non fanno niente di concreto per evitarli. Se però si aspetta che i pericoli divengano macroscopici e gravi (…) prima di essere indotti a un’azione seria, c'è da temere che a quel punto sarà già troppo tardi».
Ben venga, quindi, che finalmente se ne parli e ce ne si preoccupi. Ben vengano l'enciclica verde di papa Francesco. Ben venga Cop21 con i suoi accordi. Ben venga l'indignazione e la rabbia di questi giorni. Ma parlare non bastava ieri e non basta nemmeno oggi. E non basta nemmeno bloccare il traffico un weekend al mese.
C'è da lavorare sulla mobilità sostenibile e grida vendetta quanto sia stato investito su nuove tangenziali e quanto poco sia stato investito sulla mobilità ferroviaria e sui treni dei pendolari. C'è da lavorare sul patrimonio abitativo, che si mangia il 40% dell'energia che consumiamo, e grida vendetta che negli ultimi vent'anni si sia costruito a casaccio e non sia siano stati resi più efficienti a livello energetico milioni di edifici costruiti tra gli anni '60 e '80. C'è da rendere più sostenibile il ciclo produttivo delle nostre tante fabbriche, e gridano vendetta le mance elettorali e le sovvenzioni a casaccio, senza alcun incentivo a inquinare di meno.
Spesso si dice che il nord sia la locomotiva d'Italia. Bene, è il momento di diventarlo anche a livello ambientale. Non fosse altro che ne va della nostra sopravvivenza.
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