Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2015
Nei giorni di Natale Matteo Renzi ha inaugurato la variante
di valico dell’Appenino Tosco-Emiliano. Con una giusta euforia perché era un’opera
in gestazione da decenni e che solo ora è arrivata a compimento. In quelli
stessi giorni (e ancora oggi) non solo le grandi città ma anche, sia pur in
diversa misura, quasi l’intero Paese era sotto una cappa di smog. I due
fenomeni sono in correlazione e in contraddizione, sia pur indirette. Non si
tratta qui di far propria la critica degli ambientalisti vegani che contestano
che la variante di valico ha comportato lo sbancamento di tonnellate di terra,
disboscamenti, l’alterazione del paesaggio. I paesaggi così come li abbiamo
conosciuti finora, in Italia e nel mondo, siamo destinati a non vederli più, se
non attraverso ricostruzioni virtuali rese possibili dalla tecnologia, così
come in Cina viene riprodotto un Colosseo che nella realtà non esiste più da
secoli e a Las Vegas fra rovine romane artefatte ogni giorno Bruto pugnala
Cesare. Né il disboscamento è la causa principale delle famigerate polveri
sottili che non sono che un aspetto, parziale, dell’inquinamento globale che
sta sconvolgendo il clima in tutto il mondo sviluppato o in via di sviluppo e
anche in quello che allo sviluppo non partecipa e nemmeno ne vorrebbe sapere ma
ne rimane coinvolto perché l’inquinamento prodotto dai Paesi industrializzati
non riconosce, come la Bomba Atomica, i confini.
E allora vediamo come si lega la variante di valico alle
polveri sottili. Perché abbiamo costruito questa variante? Perché vorremmo che
fosse terminata al più presto la Napoli-Reggio Calabria, anch’essa in attesa da
anni? Per rendere più scorrevoli e veloci i collegamenti fra Nord, Centro e Sud
Italia. E perché devono essere più veloci? Per poter produrre meglio e di più.
Cioè per poter crescere di più. Ma non ci può essere crescita senza
inquinamento. L’una include l’altro. Se a Pechino non si può più nemmeno
respirare è perché la Cina sta crescendo a ritmi forsennati, da quando, come
l’India, è entrata nella logica del modello di sviluppo occidentale. Ciò che
dobbiamo fare, in Italia e nel mondo sviluppato o in via di sviluppo, non è
mettere ridicoli divieti alla circolazione delle automobili, pannicelli caldi
che come dimostra l’esperienza servono a poco o nulla (la notte di Natale a
Milano, dove non circolava un’automobile, i livelli di Co2 erano comunque
superiori ai già laschi limiti) sperando con apposite danze rituali che arrivi
la pioggia in modo che l’inquinamento invece che dall’alto ci arrivi,
attraverso la corruzione delle falde acquifere, dal basso infilandosi su per il
buco del culo. Quello che dobbiamo fare è ridurre la produzione, che è
esattamente ciò che l’attuale modello di sviluppo non ci consente.
Nella notte di Natale Papa Bergoglio sotto la forma
dell’ammonimento morale ha fatto il più duro attacco, a quanto io ricordi,
almeno a livello di una autorità così importante, al modello di sviluppo
industriale: “In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di
abbondanza e lusso, Lui ci chiama a un comportamento sobrio, cioè semplice,
equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l’essenziale”. Se seguissimo
–parlo naturalmente della parte ricca del mondo- le indicazioni del Papa e cioè
non fossimo ebbri di consumo e di piaceri e tornassimo alla sobrietà e
all’essenziale crollerebbero, appunto, i consumi, oggi, come sempre, tanto
invocati e la produzione. E con essi l’economia dominante. Ma in quel
riferimento ad un ritorno all’ ‘essenziale’ e a una vita più semplice c’è anche
il succo morale del discorso di Bergoglio. Perché è nell’essenziale che si
ritrova quella gerarchia di valori, preconomici, prepolitici, preideologici e,
oserei dire, anche prereligiosi che oggi abbiamo perduto, non solo in Italia
naturalmente, anche se in Italia in modo più evidente e sfacciato, ma
nell’intero mondo così detto sviluppato.
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