Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 4 febbraio 2016
(In)felici a 50 anni: quando si ama la vita e si teme di perderla
Secondo le statistiche
è l’età più difficile, quella dell’ansia.
Dopo i settanta la
situazione migliora. La serenità? Bisogna aspettare i 90
di Emanuele
Trevi
Ho compiuto
cinquantadue anni da poche settimane, ed è con una certa naturale inquietudine
che ho appreso da una ricerca dell’Istat britannica (Office for National
Statistics) di stare attraversando il periodo più infelice della mia vita.
Almeno dal punto di vista statistico.
I risultati di una accurata ricerca sulla felicità riguardano 300 mila adulti, interrogati al riguardo fra il 2012 e il 2015. L’Inghilterra è l’Inghilterra, ma è altrettanto vero che il mondo è paese, quindi converrà anche a noi italiani di mezza età meditare seriamente sulle minacciose tabelle pubblicate sul sito del Daily Mail.
I risultati di una accurata ricerca sulla felicità riguardano 300 mila adulti, interrogati al riguardo fra il 2012 e il 2015. L’Inghilterra è l’Inghilterra, ma è altrettanto vero che il mondo è paese, quindi converrà anche a noi italiani di mezza età meditare seriamente sulle minacciose tabelle pubblicate sul sito del Daily Mail.
La condizione migliore dopo i novanta
La grafica
può essere più crudele di ogni parola. La prima tabella è dedicata proprio a
lei, alla felicità, quell’impalpabile essenza che i filosofi e i poeti di ogni
tempo hanno tentato invano di definire. Non la si può definire, ma a quanto
pare la si può misurare, per fascia d’età. Ebbene, in corrispondenza del
settore 50-54 anni la colonnina del grafico registra il minimo. Tanto per fare
un esempio, la felicità fra i 70 e i 74 anni è addirittura quadrupla: davvero
vale la pena smettere di fumare. Ma tutti ci battono, i trentenni come gli
ultranovantenni.
La rivincita ce la pigliamo nella tabella dedicata all’ansia. L’età dell’ansia è il titolo di un grande poema moderno, uno dei capolavori di Wystan Hugh Auden, il maggior poeta inglese del Novecento. Ora possiamo circoscrivere bene questo concetto: ed eccoli lì in vetta, i cinquanta-cinquantaquattrenni, questi nuovi eroi contemporanei, i campioni dell’ansia. Ancora una volta, per registrare una significativa riduzione del problema, bisogna puntare verso i settanta. La condizione migliore si realizza oltre i novanta.
La rivincita ce la pigliamo nella tabella dedicata all’ansia. L’età dell’ansia è il titolo di un grande poema moderno, uno dei capolavori di Wystan Hugh Auden, il maggior poeta inglese del Novecento. Ora possiamo circoscrivere bene questo concetto: ed eccoli lì in vetta, i cinquanta-cinquantaquattrenni, questi nuovi eroi contemporanei, i campioni dell’ansia. Ancora una volta, per registrare una significativa riduzione del problema, bisogna puntare verso i settanta. La condizione migliore si realizza oltre i novanta.
Le responsabilità verso genitori e figli
Molto
inadeguata mi sembra l’interpretazione di questi dati così interessanti. Alla
mia età, suggeriscono gli statistici britannici, si fa più pesante il «burden»,
il fardello della vita. Bisogna prendersi cura dei figli e dei genitori nello
stesso tempo. Perché i figli si fanno sempre più tardi, e i genitori diventano
sempre più vecchi. Eppure siamo ultimi anche nel sentimento di fare qualcosa di
utile nella vita, il che è un po’ strano. Così come è strano che il prendersi
cura di figli e genitori sia un «fardello» più capace di abbattere l’umore e
suscitare l’ansia di tanti altri «fardelli» della vita. Perlomeno questo
corrisponde a dei sentimenti del tutto naturali, e universali.
Forse per capire il senso di questi dati bisognerà impiegare ulteriori sfumature. Una cosa mi sembra verosimile, perché la sperimento in prima persona: l’ansia in effetti cresce. E come potrebbe essere diversamente?
Forse per capire il senso di questi dati bisognerà impiegare ulteriori sfumature. Una cosa mi sembra verosimile, perché la sperimento in prima persona: l’ansia in effetti cresce. E come potrebbe essere diversamente?
La lezione dei «cinquanta»
Quando eri
giovane, pensavi ai cinquant’anni come a un’età biblica, in cui tutto ciò che è
possibile imparare dalla vita è stato imparato, nel bene e nel male. E invece,
eccoti qui, che della vita non hai capito nulla, e hai il sospetto che ormai
andrà avanti così, dovessi pure arrivare al beato traguardo dei novanta, dove
molto probabilmente l’ansia si riduce non perché si capisce qualcosa, ma perché
ci si rassegna. E poi, nessuno ci impedisce di riconoscere all’ansia e alla
malinconia almeno un valore positivo incontestabile.
A loro modo, sono entrambi indici del nostro attaccamento alla vita, della nostra capacità di attribuire senso e valore a ciò che amiamo. E visto che amiamo, è naturale che soffriamo, perché iniziamo a renderci conto di come non c’è nulla che ci appartenga veramente, tutta la nostra vita potendo definirsi un prestito. E perché non lo avevate capito prima? Qualcuno potrebbe chiederci, perché proprio adesso? La risposta mi sembra semplice: solo quando hai imparato ad amarla abbastanza, capisci che una cosa la puoi perdere da un momento all’altro.
A loro modo, sono entrambi indici del nostro attaccamento alla vita, della nostra capacità di attribuire senso e valore a ciò che amiamo. E visto che amiamo, è naturale che soffriamo, perché iniziamo a renderci conto di come non c’è nulla che ci appartenga veramente, tutta la nostra vita potendo definirsi un prestito. E perché non lo avevate capito prima? Qualcuno potrebbe chiederci, perché proprio adesso? La risposta mi sembra semplice: solo quando hai imparato ad amarla abbastanza, capisci che una cosa la puoi perdere da un momento all’altro.
4 febbraio 2016
© RIPRODUZIONE
RISERVATA
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.